Un’analisi delle dinamiche patologiche dell’ictus deve cominciare da ciò che viene comunemente chiamata spasticità. Nonostante in molte realtà riabilitative esso venga tuttora utilizzato, si è scelto di non mettere questo termine nel titolo dell’articolo, poichè numerosi studi e l’evoluzione delle ricerche neurofisiologiche hanno dimostrato che questo è un termine che in verità risulta fuorviante per spiegare i meccanismi patologici che avvengono in un paziente che ha subito un ictus.
Classicamente la spasticità viene definita come “un disordine motorio caratterizzato da un aumento velocità dipendente nei riflessi tonici di stiramento (tono muscolare) con riflessi tendinei esagerati, risultante dall’ipereccitabilità del riflesso di stiramento, come una componente della sindrome del motoneurone superiore” (Lance 1980).
Questa definizione, in sostanza, vuol dire innanzitutto che la spasticità viene spesso identificata nell’”ipertono muscolare” per cui se noi proviamo a muovare un arto paretico incontreremo tanto maggiore resistenza quanto aumentiamo la velocità con cui eseguiamo il movimento.
In secondo luogo tale affermazione cerca di spiegare che questo fenomeno è una condizione riflessa dei muscoli su cui il paziente non può esercitare alcun controllo poiché con la lesione è stata persa la possibilità da parte del cervello di regolarlo.
La pecca di questo tipo di definizione è il fatto che essa deriva da concetti dedotti dalla sperimentazione condotta su animali decerebrati (Sherrington 1906) nei quali venivano interrotte tutte le vie di comunicazione tra il cervello e il sistema nervoso periferico.
Se ci limitiamo a descrivere la spasticità di un paziente che ha avuto un ictus secondo questo modello, la riabilitazione che ne consegue tenderà a considerare la spasticità come un “tutto unico” che può solo aumentare o diminuire e il suo trattamento verrà concepito come un tentativo di ridurla o diminuirla con ogni mezzo possibile (manovre, posture, stiramenti, farmaci, ecc.).
In verità un’approccio di questo tipo è molto semplicistico; se, come dovrebbe essere compito del terapista, vogliamo mettere il paziente nelle condizioni di poter apprendere delle modalità di controllo nei confronti della spasticità, questo fenomeno va approfondito e soprattutto interpretato dal punto di vista riabilitativo.
Per far ciò occorre prima di tutto una diversa prospettiva con la quale analizzare il tono muscolare anche nei soggetti sani: diversi autori infatti lo concepiscono non solo come uno stato di elasticità fisica dei muscoli, “ma uno stato di disponibilità o preparazione.” (Bernštein 1989).
Che cosa vogliono sottolineare questi autori?
Che non ha senso misurare su una scala il grado di spasticità, perché essa non è un’entità monolitica ed unitaria che può solo aumentare o diminuire, ma va piuttosto intesa come un’alterazione della regolazione del tono muscolare, dipendente dal contesto e dall’azione che caratterizzano il comportamento del paziente nel momento in cui viene osservato.
Perciò non è tanto di un aumento del “tono muscolare” di cui si dovrebbe parlare quanto piuttosto di una disorganizzazione di diverse componenti dell’intero sistema che portano alle alterazioni motorie che si osservano nell’emiplegico.
L’individuazione di componenti più elementari che costituiscono l’alterazione motoria permette anche la formulazione di esercizi più specifici ed efficaci rispetto ai mezzi messi in campo dai terapisti di scuola fisioterapica che agiscono direttamente sul fenomeno nel determinato contesto e nella determinata azione.
Analizziamo ora le componenti elementari dell’alterazione motoria peculiare dell’emiplegico individuate dai terapisti della scuola riabilitativa neurocognitiva e chiamate nel loro insieme “specifico motorio” (Perfetti 1986).
LO SPECIFICO MOTORIO DEL PAZIENTE EMIPLEGICO
Lo schema che segue ha lo scopo di riassumere i processi e la patodinamica sottostante ad un danno iniziale che interessi il Sistema Nervoso Centrale e responsabile della comparsa di alterazioni motorie. Abbiamo già visto nell’ articolo sulla Diaschisi (link) che occorre considerare sia gli effetti direttamente legati alla Lesione che quelli legati alla Diaschisi (riquadro in verde).
Tali effetti concorrono a determinare i quattro elementi dello Specifico Motorio (riquadri in giallo) che vengono chiamati:
1) Reazione abnorme allo stiramento
2) Abnorme Irradiazione
3) Schemi elementari di movimento
4) Deficit di Reclutamento di Unità Motorie
Il riquadro in basso dello schema è ciò che chiunque può osservare dall’esterno in una persona colpita da ictus: la difficoltà di eseguire i movimenti e la rigidità che incontriamo se proviamo a muovere noi alcuni segmenti.
Proviamo ora a cercare di spiegare quali sono i motivi per cui nei malati compaiono i quattro componenti dello specifico motorio e lo faremo analizzandoli uno per uno
Reazione Abnorme Allo Stiramento (RAAS)
Identifichiamo con la Reazione Abnorme Allo Stiramento (RAAS) l’accentuazione del riflesso miotatico fasico presente anche nel soggetto sano, ovvero la comparsa di una resistenza all’estensione di un segmento che appare tanto più intensamente e precocemente quanto è maggiore la velocità con cui si esegue la manovra.
Con la presenza della RAAS, nei malati non si ha mai la possibilità di raggiungere la massima escursione articolare senza incontrare resistenza di grado maggiore o minore e se si abbandona la presa dopo l’estensione, il segmento ritorna almeno in parte in posizione di flessione.
Nel soggetto sano una normale reazione allo stiramento avviene dopo uno stiramento brusco, risulta funzionale al compito di proteggere l’articolazione da lesioni dato proprio dall’improvviso e/o eccessivo stiramento. Nel soggetto colpito da ictus questa reazione viene detta abnorme poiché compare anche con stiramenti lenti e non è funzionale al compito.
Non dobbiamo però pensare che allora non possa essere modificabile. Come vediamo nello schema sopra riportato la presenza della RAAS pare una diretta conseguenza della prevalenza della periferia. Che cosa significa questo? Che in realtà la reattività allo stiramento non è un fenomeno soltanto midollare, ma noi siamo in grado in condizioni normali di modularla attraverso un controllo cosciente operato dai nostri porocessi cognitivi quali l’attenzione, la memoria, l’apprendimento. Perciò questa reattività è possibile modificarla attraverso l’esperienza.
Nel soggetto emiplegico invece questo controllo e questa modificabilità viene almeno in parte persa e pertanto il riflesso midollare viene enormemente esaltato. Ma se il riabilitatore attraverso gli esercizi è in grado di guidare i processi cognitivi, in particolare l’attenzione, verso un ripristino almeno parziale delle possibilità di controllo di questa componente si potrebbe osservare nel paziente l’acquisizione di strategie che conducono ad un movimento più evoluto.
Per scoprire quali tipi di esercizi siano i più adatti per la reattività allo stiramento vedi la sezione esercizio (link)
Irradiazione Abnorme
Identifichiamo con l’Irradiazione Abnorme l’attivazione involontaria di muscoli che non sarebbero direttamente coinvolti con il movimento da realizzare. Anche in questo caso si tratta di un’alterazione di un fenomeno che compare anche nel soggetto sano.
Infatti se dovessimo compiere attività che richiedono notevole sforzo come ad esempio sollevare una borsa molto pesante con un solo braccio ci accoregeremmo che spontaneamente si verificherebbe un’attivazione muscolare anche nell’altro braccio che parteciperà all’azione con il compito di bilanciare il peso. Oppure se dovessimo imparare a compiere un’azione che richiede movimenti complessi mai fatti prima, noteremmo allo stesso modo che nei primi tentativi l’attivazione muscolare coinvolgerà un maggior numero di gruppi muscolari rispetto a quelli utilizzati una volta che l’attività sia stata appresa.
A quest’ampia attivazione muscolare nel soggetto sano partecipano muscoli vicini o funzionalmente collegati a quelli che vengono attivati durante un’azione.
Nel soggetto che ha avuto un ictus invece l’Irradiazione viene detta abnorme perchè può comparire anche in situazioni molto meno dispendiose, ad esempio perfino al solo tentativo di reclutamento. Inoltre i gruppi muscolari che vengono attivati sono sempre gli stessi, quelli che non dovrebbero essere interessati dal compito, e indipendentemente dal distretto interessato dal movimento.
L’esempio classico che si può fare è quando il malato sta camminando e spontaneamente piega il gomito dell’emilato colpito.
L’Irradiazione abnorme potremmo quindi vederla come una strategia a cui il malato deve ricorrere quando gli viene richiesta una prestazione a cui non è in grado di far fronte in quel momento. Essa viene scatenata da movimenti troppo veloci, movimenti da sforzo, da attività automatiche quali lo sbadiglio, da attività compiute dall’arto sano, e infine possono giocare molto anche fattori emotivi.
Ma cerchiamo di capire ora che cosa accade fisiologicamente nel nostro corpo quando si verifica un’irradiazione. Il nostro corpo nel momento in cui è chiamato dall’ambiente circostante a dover compiere un movimento lo esegue selezionando le unità motorie necessarie per esso. Per poter essere così selettivo l’impulso nervoso che scaturisce dal cervello ha bisogno che ai livelli inferiori (nel midollo spinale ad esempio) sia presente una sorta di barriera sinaptica che impedisca la trasmissione dell’impulso originario a tutto il corpo attraverso la rete neuronale. Tale barriera è data dall’inibizione sia dei neuroni motori sia dei cosidetti interneuroni ovvero dei neuroni di collegamento tra un neurone e l’altro che sono importantissimi proprio per la modiulazione dell’attività dei neuroni del midollo spinale.
Dopo un’ictus spesso la funzionalità di questa barriera viene alterata e tutte le componenti neuroniche (motoneuroni e interneuroni) del segmento midollare dove dovrebbe avvenire il movimento, presentano un’aumentata eccitabilità che si manifesta sia in relazione a stimolazioni esterne di quel segmento che in relazione a impulsi soprasegmentari connessi con attività di altri recettori e con l’attività volontaria.
Anche questa componente della spasticità, l’irradiazione, è modulabile grazie al trattamento riabilitativo e alle capacità di apprendimento per il controllo di questo fenomeno. Per scoprire quali tipi di esercizi siano i più adatti per l’irradiazione abnorme vedi la sezione esercizio (link)
Schemi elementari di movimento
Con le ultime due componenti dello Specifico Motorio prendiamo in considerazione quelli che sono i fattori più propriamente legati alla paresi che viene determinata dalla lesione iniziale.
Dopo la prima fase di schock iniziale che porta, nei casi più comuni, ad uno stato di completa flaccidità muscolare, solitamente si osserva un’attivazione dei residui Schemi Elementari di movimento. Essi, come abbiamo già spiegato nella sezione Diaschisi (link) sono i primi ad essere deinibiti poiché vengono determinati da circuiti neuronali semplici, con poche sinapsi.
Gli Schemi elementari di movimento rappresentano per il riabilitatore indubbiamente un fattore positivo, poiché vuol dire che la diaschisi sta regredendo e cominciano a comparire le prime attivazioni neuraonali, ma andrebbero tenuti sotto controllo e soprattutto andrebbe impedito il loro consolidamento nelle strategie motorie del paziente poichè essi conducono ad un rinforzo dei circuiti più elementari impedendo la riorganizzazione dei sistemi funzionali più evoluti. Se in questa fase insistiamo a far svolgere al paziente emiplegico le normali attività quotidiane di cura della persona noteremmo che egli immancabilmente ricorrerà a questi schemi elementari anche per le più comuni necessità interazionali con l’ambiente. Per questo inizialmente nell’approccio riabilitativo neurocognitivo si limita una ricerca immediata dell’autonomia del paziente nelle attività della vita quotidiana, poichè esse rappresentano compiti troppo complessi e sottendono il simultaneo e multiplo controllo di numerose componenti della motricità reso difficoltoso dalla lesione.
Anche gli Schemi Elementari di Movimento necessitano di esercizi specifici che scopriremo insieme nella sezione esercizio (link)
Deficit di reclutamento di unità motorie
Quest’ultimo aspetto dello specifico motorio è il disturbo primario che caratterizza i soggetti colpiti da ictus. Con Deficit di Reclutamento di Unità Motorie si intende proprio l’impossibilità di attivare i muscoli e quindi di produrre movimento. Il termine unità motoria viene utilizzata dai fisiologi per definire l’unità funzionale minima dell’apparato neuromuscolare. Essa è costituita da un neurone motorio e da tutte quelle fibre muscolari da esso innervate. Per completezza la definizione di deficit di reclutamento andrebbe arricchita da ulteriori due aggettivi: Quantitativo e Qualitativo. Quantitativo ci dà l’idea del numero effettivo di unità motorie che sono colpite da questo disturbo, qualitativo invece è più legato a quel che osserviamo nel paziente che magari ha conservato la possibilità di contrarre i propri muscoli ma tale contrazione non è efficace o risulta povera di variabilità in funzione del compito che dovrebbe svolgere.
Come vedremo nella sezione esercizio (link) tutti gli esercizi utilizzati per operare il superamento delle altre tre componenti dello specifico motorio concorrono al recupero del Deficit di Reclutamento.
BIBLIOGRAFIA:
Lance JW. Symposium synopsis. In: Feldman RG, Young RR, Koella WP (eds) Spasticity: disordered motor control. Year Book Med Pub Chicago 485-494; 1980
Sherrington CS. The integrative action of the nervous system. New Haven: Yale University Press; 1906
Bernštein N A. Fisiologia del movimento. Roma: S. S. S.; 1989
Perfetti C. Condotte terapeutiche per la rieducazione motoria dell’emiplegico. Milano: Ghedini Ed.; 1986
interessantissimo
bello e molto curato, complimenti!!
[...] sugli archi riflessi, e divengono causa della “spasticità” (vedi anche “lo specifico motorio nel paziente emiplegico“) o, almeno, dell’aumento del riflesso allo stiramento (McCouch, Austin, Liu, Liu, [...]