Il ripristino della funzione per effetto della deinibizione
Translated from “Restoration of function after brain injury” by Aleksandr Romanovič Luria, pagg. 1 – 31, Pergamon Press – now Elsevier (1963), all rights reserved
1. Dati preliminari. Il carattere duale del disturbo di funzione nella lesione cerebrale
La nostra conoscenza della patologia e della fisiologia delle lesioni cerebrali è progredita in modo considerevole negli anni recenti. Le numerose osservazioni effettuate durantela Seconda Guerra Mondiale hanno dimostrato che ogni lesione cerebrale non può in alcun modo essere considerata come la distruzione di sostanza cerebrale entro i limiti definiti della ferita, ma che al contrario si scatenano processi patologici molto complessi nel cervello. Una ferita penetrante del cervello non danneggia solo la sostanza cerebrale vicina alla ferita, ma determina anche modificazioni significative a carico di aree distanti dal sito direttamente lesionato dal trauma. Talvolta queste modificazioni assumono la forma di distruzione irreversibile della sostanza cerebrale, mentre in altri casi esse sono caratterizzate da edema, anomalie circolatorie e disturbi del flusso del fluido cerebrospinale. In certi casi si assiste a notevoli modificazioni dei riflessi autonomi e ad alterazioni permanenti a carico del pattern di attività elettrica della corteccia cerebrale.
Come effetto di questa complicata serie di condizioni, in seguito ad ogni lesione cerebrale possiamo riconoscere almeno due distinte componenti. Primo, i disturbi della funzione cerebrale possono rappresentare l’esito della distruzione tissutale e della sua sostituzione con tessuto inerte; questo è irreversibile e costituisce la base del processo patologico. La seconda componente consiste in una serie di anomalie della funzione che, a certe condizioni, potrebbero essere reversibili. Queste sequele reversibili delle lesioni cerebrali possono avere caratteristiche ampiamente differenti. Fino a poco tempo fa si sapeva molto poco sui dettagli delle modificazioni cellulari che avvengono nelle zone del cervello distanti dal sito lesionale effettivo, ma gli studi dell’Accademico N. N. Burdenko e collaboratori hanno fatto luce su questo problema.
Burdenko, Smirnov e Lipchina (1946; citati da Smirnov, 1947) hanno esaminato le modificazioni che avvengono nel midollo spinale e nel cervelletto di animali sottoposti all’azione di stimoli ultrasonici, e le modificazioni delle medesime strutture nell’Uomo dopo una generica commozione cerebrale, dimostrando che la contusione (che non è sempre una forma indipendente di lesione cerebrale ma può anche accompagnarsi alle ferite penetranti del cervello) determina frequentemente una grande varietà di alterazioni anatomiche a carico delle cellule del cervello, che variano da anomalie difficili da riconoscere a disturbi grossolani ed irreversibili. Questi disordini non sono limitati alle modificazioni patologiche a carico delle cellule nervose stesse (edema, tumefazione, parziale degenerazione della sostanza argirofila – NdT: argirofolo è detto di loci cellulari o extracellulari, che in base a certe caratteristiche strutturali sono in grado di fissare l’argento salino. In seguito all’intervento di agenti riducenti esterni, le strutture argirofile possono essere messe in evidenza dalla precipitazione dell’argento in forma metallica), ma possono anche intaccare le strutture pericellulari e soprattutto si riflettono nella condizione delle connessioni sinaptiche. In queste aree le fibre terminali possono tumefarsi in una misura estremamente variabile che spazia da alterazioni appena percettibili a forme di frammentazione grossolana delle fibre o dei processi terminali, e possono avere luogo modificazioni a carico degli elementi gliali, anche se solo nei casi severi si sviluppano realmente dei foci di micronecrosi.
Ancora più di recente gli autori Sovietici hanno investigato la questione delle modificazioni che insorgono a carico delle connessioni sinaptiche in seguito a trauma, e gli studi di Sarkisov, Gurevich, e Grashchenkov rappresentano contributi preziosi alla soluzione di questo complesso problema. Le loro scoperte indicano con chiarezza che possono avere luogo profonde modificazioni in aree corticali che non sono distrutte ma che hanno solamente subito una contusione, intralciando non solo l’eccitabilità delle cellule nervose ma anche la conduttività delle sinapsi. È questa tumefazione della sinapsi che interferisce con la conduzione neuronale, determinando di conseguenza una condizione di inattività.
Questi fatti ci aiutano ad analizzare i fini meccanismi fisiologici responsabili di questi stati temporanei di soppressione e dissociazione che fino ad ora non erano stati spiegati.
2. Il ripristino spontaneo delle funzioni temporaneamente inibite ed il suo meccanismo fisiologico
Il fatto che le funzioni temporaneamente depresse a causa di una lesione cerebrale possano essere gradualmente ripristinate è ben noto, e, dopo le indagini fondamentali di Monakow, ha suscitato un ampio interesse.
L’ampia casistica studiata durantela Seconda Guerra Mondialeci ha permesso di analizzare più da vicino i meccanismi sottostanti il ripristino spontaneo. A questo proposito, due gruppi di casi rivestono un particolare interesse: i disturbi temporanei di funzione successivi a lesioni localizzate non penetranti del capo, ed i disturbi di funzione successivi a lesioni da scoppio che derivano da un’onda di pressione.
È noto come le lesioni a carico dell’emisfero sinistro determinino disturbi permanenti del linguaggio che prendono la forma di afasia traumatica (questo problema viene discusso in dettaglio nella monografia di A. R. Luria: “Afasia Traumatica, Acad. Med. Sci. USSR Press, Mosca, 1947). Nondimeno, nel periodo immediatamente successivo alla lesione, possono svilupparsi gravi disturbi linguistici anche nel caso di lesioni di parti del cervello differenti dalle classiche “aree del linguaggio”. Come si può vedere nella Fig. 1, che sintetizza la quantità di materiale che abbiamo raccolto durante la Seconda Guerra Mondiale, quasi tutte le lesioni dell’emisfero sinistro comportano inizialmente (nelle prime due settimane successive alla lesione) un quadro di afasia. La durata di questi disordini può variare. Le lesioni che distruggono una delle principali “zone del linguaggio” danno luogo ad afasia persistente e prolungata, mentre le lesioni di altre zone dell’emisfero sinistro di solito producono disturbi del linguaggio che, anche se gravi inizialmente, recedono rapidamente e di regola diventano insignificanti nel giro di 6-7 mesi dopo la ferita.
Questi fatti indicano che alterazioni aventi caratteristiche differenti possono dare luogo a disturbi di funzione in apparenza identici osservabili nel periodo immediatamente successivo alle lesioni cerebrali localizzate, e che anche una perdita di funzione permanente può si può accompagnare ad una perdita temporanea, che viene seguita (entro 6-8 settimane di regola) da un ripristino praticamente completo.
È possibile ricavare un quadro ancora più chiaro delle differenti modalità di restituzione nei due tipi di disturbo di funzione mediante l’osservazione longitudinale dei deficit che insorgono a causa di ferite penetranti del cervello, da un lato, e di lesioni non penetranti dall’altro. La successione delle modificazioni dei sintomi afasici che hanno luogo nelle varie forme di lesione (da studi longitudinali condotti su 269 casi di lesione cerebrale) viene illustrata graficamente nella Fig. 2. Se il numero totale delle lesioni viene considerato senza tenere conto della loro localizzazione, l’incidenza dei casi di afasia causati dalle ferite non penetranti è inizialmente simile a quella rilevata in seguito alle ferite penetranti; le forme più gravi di afasia sono forse leggermente più frequenti nelle ferite penetranti dell’emisfero sinistro. Tuttavia, nel periodo successivo (6-7 mesi dopo la lesione) la situazione muta radicalmente: mentre le forme marcate di afasia persistono in una proporzione considerevole dei casi colpiti da ferite penetranti, esse si riscontrano solo eccezionalmente nei casi di lesione cerebrale non penetrante. Viceversa, in quest’ultimo gruppo il numero di casi in cui i disturbi afasici scompaiono completamente nel giro di 3-4 mesi è doppia rispetto al gruppo colpito da ferite cerebrali penetranti. Queste differenze sono particolarmente evidenti nei casi in cui la lesione interessa le principali “zone del linguaggio” dell’emisfero sinistro.
Anche se nei primi giorni o nelle prime settimane successive alla lesione le due forme precedentemente descritte sembrano simili nelle loro manifestazioni esteriori e producono disturbi ugualmente gravi del linguaggio, la profonda differenza tra i due tipi di lesione si rivela nel periodo successivo. Nei casi delle ferite penetranti, i gravi disturbi afasici permangono tenacemente in una percentuale elevata di casi (di ciò discuteremo più avanti) e solo raramente vanno incontro ad una restituzione completa. Al contrario, se queste zone hanno subito ferite non penetranti, gli evidenti disturbi afasici permangono solo in un’esigua percentuale di casi e molto di frequente scompaiono completamente. Analoghi risultati si ottengono dall’analisi comparativa tra le ferite penetranti e quelle non penetranti a carico delle aree “contigue” (che confinano con le zone del linguaggio) del cervello.
Questi risultati dimostrano chiaramente che i disturbi di funzione derivanti da una lesione cerebrale localizzata possono avere origine differente anche se sembrano simili nella loro manifestazione esterna, che spesso la loro natura si evidenzia nel decorso successivo della malattia, e che tra i disturbi stabili ed irreversibili dobbiamo distinguere quella che è una depressione “temporanea” della funzione cerebrale dovuta al trauma.
Anche se entrambi questi effetti (la perdita autentica di funzione e la sua depressione temporanea) si possono presentare associati nelle lesioni cerebrali localizzate, con la predominanza dell’uno o l’altro, la situazione è piuttosto differente nelle lesioni provocate da un’esplosione.
Solo un’esplosione molto grave riesce a causare una contusione severa che si accompagna a distruzione di sostanza cerebrale. Molto più spesso la lesione da scoppio dà origine ad una lesione cerebrale complessa la cui anomalia patologica principale è rappresentata dalla differente forma di disturbo dell’apparato sinaptico.
Una lesione come questa può ovviamente determinare modificazioni considerevoli a carico della funzione cerebrale che, tuttavia, prenderanno la forma di depressione temporanea dei processi neurodinamici. Questa depressione temporanea della funzione che fa seguito alla lesione da scoppio venne studiata durante la guerra da numerosi autori (Gilyarovskii, 1943, 1946; Gurevich, 1945; Ivanov-Smolenskii, 1945a, 1945b; Perel’man, 1943, 1947) e fu attentamente analizzata dal punto di vista fisiologico (ricerche dell’Istituto di Neurologia, Accademia delle Scienze mediche della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche; Gershuni e collaboratori, 1945).
L’ultimo gruppo di studi è molto interessante, per l’introduzione dei nuovi metodi che hanno reso possibile quella necessaria interpretazione fisiologica più precisa delle modificazioni prodotte all’interno del sistema nervoso centrale a causa di una lesione provocata da un’esplosione.
I clinici sapevano da molto tempo che una lesione che interessa il cervello provocata da uno scoppio può essere causa di sordomutismo e talvolta di cecità, ritenute di origine psichica, ma le attente ricerche condotte dai fisiologi Sovietici, in particolare Gershuni a collaboratori, hanno dimostrato che la lesione da scoppio comporta un marcato aumento non solo della soglia della sensibilità acustica ma anche di quella di altri sistemi afferenti. La diminuzione marcata dell’udito non è un disturbo isolato; esso di solito è accompagnato da un incremento accentuato della soglia della sensibilità cutanea e vibratoria, dell’olfatto, del gusto, e dell’eccitabilità elettrica dell’occhio. La lesione da scoppio, pertanto, non è associata ad un particolare tipo di disturbo periferico dell’uno o dell’altro recettore, ma ad una lesione centrale dei sistemi afferenti, che determina una diminuzione dell’attività di quasi tutti gli esterocettori. Questo decremento dell’attività dei sistemi di ricezione in seguito a lesione da scoppio ha, tuttavia, una struttura peculiare sua propria. Anche se dopo una lesione da scoppio gli stimoli acustici e cutanei spesso non vengono percepiti, Gershuni ha dimostrato che questo non implica necessariamente che gli impulsi afferenti non riescano a raggiungere il sistema nervoso centrale. In molti casi di sordità successiva a commozione cerebrale gli stimoli acustici non vengono percepiti dal paziente, anche se continuano ad elicitare risposte oggettive: evidenti riflessi cocleopupillari oppure marcate variazioni nei potenziali d’azione della regione temporale. Queste reazioni dunque rappresentano una risposta a stimoli subliminali impercettibili. La stessa cosa venne osservata nei casi di distorsione della sensibilità cutanea dovuti ad una lesione provocata da un’esplosione.
Appare quindi chiaro che la lesione come questa produce effetti selettivi sulla funzione cerebrale, inibendo le sue manifestazioni più complesse e risparmiando le forme di attività più elementari (che spesso sono principalmente sottocorticali). Il fatto che disturbi di funzioni di complessità differente possano avere luogo a differenti livelli di organizzazione funzionale è stato sottoposto ad analisi fisiologica dettagliata per mezzo delle indagini sui disturbi che insorgono dopo le lesioni che colpiscono il cervello provocate dalle esplosioni.
Gli studi riguardanti l’inibizione delle funzioni sensoriali ed il loro trasferimento ad un livello sub-sensoriale, dimostrando che il trauma potrebbe non solo distruggere ma anche inibire funzioni particolari, conduce ad un’ulteriore serie di conclusioni estremamente importanti.
Tutte queste funzioni temporaneamente inibite possono essere ripristinate, e la restituzione segue una modalità caratteristica. Negli stadi precoci successivi alla lesione provocata da uno scoppio la funzione è ugualmente inibita sia ai livelli sensoriali che a quelli sub-sensoriali; in questa fase il paziente non sente i suoni che raggiungono il suo orecchio e questi suoni non producono alcuna reazione oggettiva (cocleopupillare o elettroencefalografica). Nella fase successiva il quadro è completamente differente. Il paziente continua a comportarsi come se fosse sordo, ma gli stimoli acustici cominciano ad evocare una risposta oggettiva e la comparsa di ciò che Gershuni ha definito “attività sub-sensoriale”.
Caratteristica di questa fase è quindi il fatto che l’inibizione dei sistemi elementari sottocorticali e corticali sta cominciando a diminuire, anche se persiste ancora uno stato di inibizione a livello dei sistemi corticali più complessi. Solo nella terza fase del ripristino la soglia della percezione acustica comincia davvero a scendere, anche se la capacità uditiva del paziente rimane deficitaria. Questo fatto indica che la deinibizione dei sistemi corticali complessi ha avuto inizio. Questa deinibizione persiste fino a quando la soglia della sensazione percettibile e di quella sub-sensoriale ritornano a coincidere. Nella Fig. 3 mostriamo schematicamente il processo di ripristino di una funzione temporaneamente disturbata da una lesione da scoppio. Tale schema chiarisce, passo dopo passo, la comprensione fisiologica del processo di deinibizione delle funzioni temporaneamente depresse dal trauma.
3. Il ripristino delle funzioni inibite ad opera delle influenze che agiscono sui meccanismi metabolici
I fatti mostrati precedentemente dimostrano chiaramente come gli effetti di un trauma su una funzione siano complessi ed eterogenei: alcuni componenti sono dovuti alla distruzione di sostanza cerebrale e sono irreversibili, mentre altri, a prima vista virtualmente identici ai primi, sono di natura differente, e dipendono dalla depressione piuttosto che dalla perdita della funzione, così da essere in una qualche misura reversibili. Nondimeno, i componenti che dipendono da disturbi dell’eccitabilità delle cellule e dal funzionamento difettoso delle connessioni sinaptiche descritte da Grashchenkov (1946) possono persistere per un lungo periodo di tempo. Il medico può sempre sperare che l’eccitabilità delle cellule e la conduzione tra le sinapsi disturbate sarà ristabilita e che le funzioni temporaneamente interrotte riprenderanno. Pertanto è conveniente che il clinico non attenda passivamente il ritorno spontaneo della funzione inibita, ma che cerchi modi e mezzi che favoriscano il suo ripristino.
Studi sulla natura della conduzione sinaptica (Cannon, 1934; Dale, 1937; Loewi, 1935; Nachmansohn, 1939; Koshtoyants, 1947; Babskii, ed altri) hanno dimostrato che la trasmissione sinaptica dipende da una determinata sostanza chimica che agisce da mediatore. L’acetilcolina, secreta nelle terminazioni sinaptiche, gioca un ruolo importante nella trasmissione degli impulsi. L’inattivazione rapida dell’acetilcolina viene determinata da un enzima speciale, la colinesterasi, per mezzo della quale essa viene idrolizzata. La mancanza di colinesterasi svilupperebbe uno stato di stimolazione permanente, conducendo all’estinzione della funzione. Al contrario, un eccesso di colinesterasi inattiverebbe l’acetilcolina fino al punto che la trasmissione degli impulsi diventerebbe impossibile.
È questa la ragione che ci fa supporre che la mediazione metabolica non rimanga indisturbata in una sinapsi che è affetta da edema in seguito ad un trauma. Dal momento che molto prima dei prolungamenti finali e delle terminazioni esse mostrano segni evidenti di distruzione e frammentazione, il meccanismo di mediazione metabolica viene probabilmente disturbato, cosa che spiegherebbe la condizione di inattività delle sinapsi che non mostrano grossolani danni strutturali apparenti. Se questa ipotesi è corretta, si potrebbe anche postulare che la modificazione della mediazione metabolica (il meccanismo chimico di trasmissione a livello sinaptico) per mezzo dell’attivazione dell’acetilcolina aiuterà a ripristinare la trasmissione normale e a fare ricomparire le funzioni temporaneamente inibite. La trasmissione chimica può essere influenzata almeno in due modi: eliminando l’eccesso di colinesterasi o somministrando un preparato stabile equivalente all’acetilcolina. Se questa ipotesi è corretta, in entrambi i casi la normale trasmissione chimica verrà ripristinata, rendendo possibile distinguere le due differenti categorie di fattori che comportano la perdita di funzione post-traumatica: quella risultante dalla distruzione cellulare non si modificherà, mentre quella dovuta all’interferenza temporanea con l’eccitabilità e la conduttività della cellula verrà ristabilita.
Durante la guerra si tentò di deinibire le funzioni temporaneamente inattivate agendo sul meccanismo chimico della trasmissione sinaptica. Ratner (1942) a questo scopo suggerì di utilizzare la prostigmina, un alcaloide del gruppo della fisostigmina, impiegato in origine nel trattamento della miastenia grave. Se iniettata in dosi veramente esigue (0.5 – 1.0 cm3 di una soluzione 1 : 1000), la prostigmina sopprime la produzione di colinesterasi ed attiva quindi l’acetilcolina. Ci si potrebbe aspettare che questa azione della prostigmina ripristini la normale trasmissione sinaptica.
Dopo l’iniezione intramuscolare di queste piccole dosi di prostigmina, furono osservati effetti evidenti in casi di lesione cerebrale accompagnati da paresi agli arti. Entro 20 o 30 minuti dall’iniezione di prostigmina apparvero segni evidenti di movimento nell’arto colpito, e questo movimento veniva successivamente conservato. Si ebbe l’impressione che il farmaco dovesse avere un tale effetto sulla trasmissione chimica a livello sinaptico al punto che, una volta che l’inibizione era stata abolita, la normale operatività del sistema sinaptico si ristabiliva in maniera permanente.
Questi risultati furono ricavati originariamente da una serie ristretta di casi, ma vennero successivamente sottoposti a verifica su scala più ampia presso l’Istituto di Neurologia dell’Accademia di Scienze Mediche dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche da Perel’man (1946), ed indagati da Grashchenkov (1946) e collaboratori. Vennero scoperti alcuni fatti molto interessanti. L’iniezione di 1 cm3 di prostagmina in soluzione 1 : 1000 o 1 :2000 in un paziente affetto da lesione cerebrale era seguita da modificazioni apprezzabili dell’arto colpito nel giro di 20 – 30 minuti. Talvolta il paziente riferiva la sensazione soggettiva di un movimento eseguito più facilmente, ma nella maggior parte dei casi il farmaco rendeva possibile la ricomparsa evidente di movimenti in segmenti dell’arto che fino a quel momento erano rimasti immobili. Solitamente questi movimenti erano più evidenti nei segmenti prossimali che non in quelli distali, anche se in alcuni casi potevano manifestarsi anche nei segmenti distali dell’arto colpito.
In questo caso la distinzione tra perdita irreversibile ed inibizione temporanea dei movimenti appare piuttosto chiara. Se, per esempio, la ferita aveva causato la distruzione diretta della parte superiore dell’area corticale motoria (la zona dell’arto inferiore), ma aveva prodotto una paresi di tutto quanto il lato opposto del corpo, l’iniezione di prostagmina faceva riacquisire da questa paralisi generalizzata quel gruppo di movimenti che erano solamente inibiti, in modo tale che i movimenti dell’arto superiore del paziente mostravano un marcato incremento mentre quelli dell’arto inferiore rimanevano pesantemente compromessi. D’altra parte, se la ferita aveva distrutto la parte media dell’area motoria (la zona dell’arto superiore), determinando una emiparesi a carico degli arti controlaterali, l’iniezione di prostigmina dimostrava il suo effetto maggiore sull’arto inferiore, mentre i movimenti dell’arto superiore non si modificavano in maniera apprezzabile.
L’azione della prostigmina nel ripristinare le componenti inibite dei movimenti non è circoscritta alle lesioni recenti, ma il farmaco è efficace sia negli stadi iniziali che in quelli tardivi delle lesioni traumatiche. Nei suoi esperimenti, Perel’man osservò di frequente che un paziente cui veniva somministrata un’iniezione di prostigmina dopo un periodo di immobilizzazione di 6-7 mesi cominciava subito a sentirsi in grado di muovere l’arto paretico, e 20-30 minuti dopo l’iniezione si alzava e cominciava a camminare con l’aiuto di un bastone.
Una scoperta particolarmente importante fu che la prostigmina agiva in questo modo nei casi di paresi organica dovuta a lesione del capo (e, come hanno dimostrato osservazioni successive, nei casi di patologie vascolari ed infiammatorie del cervello), ma era inefficace nella paralisi isterica. In questi casi non si poteva dunque ipotizzare la possibilità di una componente di suggestione.
Una singola iniezione di prostigmina di solito è sufficiente per assicurare un ripristino permanente dei movimenti disturbati dell’arto. Una seconda iniezione ha di solito un effetto più debole e solo occasionalmente una terza o una quarta iniezione produce veramente un qualche ulteriore effetto. Oltre alla prostigmina anche altri farmaci possono avere un’azione simile. Nei suoi esperimenti, Perel’man ottenne risultati simili con l’iniezione diretta di carbacolo, che compensava la carenza di acetilcolina. In questi casi l’effetto era apprezzabile, anche se talvolta meno evidente di quello ottenuto con la prostigmina.
Il ripristino del movimento attraverso l’utilizzo di farmaci che agiscono sul meccanismo chimico di trasmissione sinaptico non è stato un fenomeno accidentale o isolato. Perel’man (1946) ha condotto studi longitudinali su più di 500 pazienti affetti da cerebrolesione accompagnata da paresi, trattati con questo metodo, per periodi di tempo inferiori ai 3 mesi (32 %), di 3-6 mesi (26 %), di 6-12 mesi (25 %) e superiori ai 12 mesi (17 %). All’iniezione di prostigmina faceva seguito un miglioramento apprezzabile del movimento nell’84 % dei casi, e solo nel 16 % non si osservava un cambiamento significativo.
Descriveremo qui di seguito due esempi tipici dell’effetto della prostigmina nel ripristino dei movimenti di un arto paretico.
Il paziente Tsap., di sesso maschile, di 24 anni di età, il giorno 3 Novembre del 1942 venne colpito e subì una ferita tangenziale e penetrante che interessava la porzione media ed inferiore dell’area premotoria, motoria e sensitiva di sinistra. Dopo essere stato ferito, egli perse conoscenza per un lungo periodo di tempo e comparve immediatamente un’emiparesi destra associata ad afasia. Per 3 mesi la paresi ed i gravi disturbi sensitivi si mantennero stazionari; l’afasia migliorava solo molto lentamente. Tre mesi dopo essere stato ferito, venne somministrata al paziente un’iniezione di prostigmina. Cinque minuti più tardi egli cominciò a muovere l’arto inferiore destro, ma non si osservarono miglioramenti apprezzabili all’arto superiore paretico.
Le osservazioni rilevanti sono riassunte nella Tabella 1, che mostra come prima dell’iniezione di prostigmina tutti i movimenti sia dell’arto superiore che di quello inferiore di destra fossero ugualmente impossibili; un’ora dopo l’iniezione nell’arto inferiore era ricomparso il movimento, ma esso era ancora assente nell’arto superiore (ovviamente a causa della distruzione della zona di proiezione motoria dell’arto superiore).
Quest’effetto venne conservato e migliorò solo in modo lieve dopo una successiva iniezione di prostigmina.
Paziente Kunt., di sesso maschile. Questo paziente, colpito da una scheggia, subì una ferita penetrante nella parte superiore delle aree sensitiva e motoria dell’emisfero sinistro, che causò una immediata emiparesi profonda del lato destro del corpo, caratterizzata da marcati disturbi sensitivi, che persistevano da 4 mesi. Il giorno 10 Marzo, circa 4 mesi dopo il ferimento, venne somministrata al paziente un’iniezione di prostigmina; 30 minuti più tardi ricomparve il movimento dell’arto superiore, ma non si verificò alcun miglioramento significativo dell’arto inferiore.
Queste modificazioni sono riassunte nella Tabella 2. Anche in quest’ultimo caso l’effetto iniziale dell’iniezione si dimostrò duraturo, e le ulteriori iniezioni successive non sortirono risultati significativi.
In alcuni casi la lesione può essere causa di una particolare sindrome miotonica, a causa della quale il paziente si muove con grande sforzo e si dimostra incapace di aprire e chiudere la propria mano velocemente. Anche in questi casi, così come in quello riferito precedentemente, la prostigmina potrebbe facilitare il recupero.
Il paziente Shmyg., di sesso maschile, ferito da una scheggia che penetrò nelle regioni frontale e parietale destra, manifestò una lieve emiparesi. Alcuni giorni dopo l’incidente venne effettuata una pulizia chirurgica della ferita con rimozione di frammenti ossei dal cervello. Dopo l’operazione il paziente sviluppò una sindrome miotonica molto marcata associata ad emorragia emisferica profonda: ogni movimento produceva uno spasmo tonico, e una volta chiuso il pugno il paziente non era in grado di riaprirlo velocemente. Per un lungo periodo di tempo questa sindrome rappresentò l’ostacolo principale all’esecuzione di movimenti normali.
Due mesi dopo il ferimento a questo paziente venne somministrata un’iniezione di 1 cm3 di prostigmina in soluzione di 1: 1000. Dopo soli 55 minuti l’ipertonia che ne caratterizzava i movimenti diminuì sostanzialmente, così che egli riusciva ad eseguire i movimenti richiesti con maggiore facilità. Questo effetto era ancora più evidente dopo 24 ore. Nella Fig. 4 viene mostrato il modo in cui la motilità del paziente perse i propri tratti patologici, così che i movimenti ritmici divennero possibili.
Naturalmente è possibile che un’alterazione del tono non si limiti a disturbare i movimenti elementari, ma determini anche alterazioni a carico di quelli più complessi. Nella Fig. 5 mostriamo i risultati di un test di scrittura effettuato sul paziente Vol., colpito da trombosi dell’arteria cerebrale media: l’emiparesi spastica destra che lo aveva colpito ostacolava anche la sua scrittura. Come mostrato chiaramente in Fig. 5, una singola iniezione di prostigmina somministrata 3 mesi dopo il ferimento diede al paziente la possibilità di scrivere molto più scorrevolmente.
L’iniezione di prostigmina può condurre al ripristino della funzione motoria anche in lesioni diverse da quelle che interessano le aree motorie e sensitive. Nelle ferite della zona premotoria, che non esitano in una paresi ma piuttosto in una considerevole disgregazione del movimento con perdita della sua scorrevolezza, abbiamo osservato di frequente un effetto apprezzabile e duraturo in seguito ad una iniezione di prostigmina. Le osservazioni di Shkol’nik-Yarros, che opera nel nostro laboratorio, hanno dimostrato che l’effetto della prostigmina era quello di estinguere i disturbi che rendono i movimenti più impacciati e che disturbano la sua fluidità.
Descriveremo qui di seguito un caso che illustra piuttosto chiaramente i risultati dell’estinzione del disturbo a carico della trasmissione sinaptica.
Il giorno 1 Gennaio 1943 il paziente Chern, colpito da una scheggia, subì una ferita tangenziale non penetrante nella parte superiore del capo in corrispondenza dell’area premotoria, riportando una frattura depressa parasagittale del cranio ed un ematoma subdurale. Egli rimase privo di conoscenza per un breve periodo di tempo, e la sua emiparesi sinistra transitoria scomparve velocemente ed in modo completo. Il paziente giunse presso di noi 2 mesi e mezzo dopo la lesione e venne tenuto in osservazione per un lungo periodo di tempo, nel corso del quale i movimenti dei suoi arti restavano invariabilmente impacciati (in misura uguale in entrambi i lati). A causa dell’impaccio, egli non era in grado di battere il tempo e di eseguire una serie continua di movimenti melodiosi con la mano (la “sindrome premotoria” che colpiva questo paziente è stata descritta più completamente altrove: “Afasia Traumatica”, 1947, Capitolo 4 e 8; “I disturbi di movimento nelle lesioni dei sistemi motori”, 1945; vedi anche la dissertazione di E. G. Shkol’nik-Yarros “I disturbi di movimento nelle lesioni della zona premotoria” e quella di F. M. Semernitskaya “I disturbi del ritmo nelle lesioni cerebrali”, Istituto di neurologia, Mosca, 1945).
La perdita di scorrevolezza del movimento era così persistente che anche una lunga serie di esercizi non aveva condotto ad un miglioramento apprezzabile.
La curva nella Fig. 6 mostra che sin dall’inizio il semplice movimento ritmico di un dito della mano destra effettuato su un registratore pneumatico collegato ad un chimografo era molto irregolare in questo paziente: gli esercizi giornalieri eseguiti per 6 settimane non condussero ad alcuna modificazione apprezzabile della curva. Dopo 6 settimane venne effettuata un’iniezione di 1 cm3di prostigmina, e 20 minuti più tardi il paziente aveva l’impressione che i suoi movimenti
stessero diventando più fluidi; la registrazione del chimografo effettuata lo stesso giorno mostrava valori molto più simili alla norma in confronto a quanto ottenuto attraverso esercizi prolungati (Fig. 7). I test condotti 6 settimane dopo l’iniezione hanno confermato che questi risultati vengono mantenuti nel tempo.
Una scoperta interessante venne fatta 3 mesi dopo l’iniezione di prostigmina quando il paziente bevve20 grammidi alcool; ciò bastò a ristabilire la depressione di questa particolare funzione, ed il chimografo nella Fig. 8 (registrazione effettuata alcune ore dopo l’assunzione di alcool) mostra una soppressione evidente dei movimenti che erano ricomparsi nuovamente, un effetto che era ancora evidente 7 mesi e mezzo dopo il ferimento (6 settimane dopo l’assunzione di alcool). Una seconda iniezione di prostigmina ripristinò anche questa volta i movimenti normali, cosa che non era avvenuta per effetto degli esercizi. Questo risultato viene mostrato nella Fig. 9.
La deinibizione di una funzione per mezzo del ripristino della normale trasmissione sinaptica non è confinata al movimento, poiché l’esperienza ha dimostrato che anche la sensibilità può essere ripristinata con altrettanto successo utilizzando un’iniezione di prostigmina. Perel’man (1946) ha dimostrato che se una ferita delle divisioni posteriori della regione parietale si associa ad un disturbo grossolano della sensibilità dolorifica, tattile e profonda, un’iniezione di prostigmina può determinare il ripristino di tutte queste forme di sensibilità, influenzando i movimenti disturbati in conseguenza della disfunzione sensitiva. Il ripristino della sensibilità era particolarmente evidente in quei segmenti le cui zone di proiezione centrale in realtà non erano andate distrutte, ma erano confinanti conla lesione. Forniamoqui di seguito due esempi di questo tipo di effetto.
Il paziente Sams., di sesso maschile, il giorno 5 Ottobre 1943 subì una ferita penetrante delle regioni temporale e frontale sinistra a causa di una scheggia. Egli rimase privo di conoscenza per un lungo periodo di tempo e sanguinò dal naso e dalla bocca. Il giorno seguente furono rimossi numerosi frammenti ossei insieme ad un grande quantitativo di tessuto cerebrale necrotico. Si verificò un’erniazione cerebrale. Dopo il ferimento si instaurò un’afasia motoria permanente ed una lieve emiparesi dell’arto superiore destro; successivamente subentrarono degli accessi epilettici, che avevano inizio con spasmi degli arti superiori per terminare con convulsioni generalizzate.
Sei mesi dopo il ferimento, questo paziente manifestò una paresi facciale destra permanente di origine centrale, una paresi residua dell’arto superiore destro, ed un grave disturbo della sensibilità superficiale e profonda e dolorifica dell’arto superiore destro. I movimenti finalizzati erano fortemente difficoltosi, era presente una grave aprassia dell’apparato fonatorio, ma non era presente alcun riflesso patologico. Quattordici mesi dopo il ferimento, venne somministrato al paziente 1 cm3 di soluzione 1 : 1000 di prostigmina per via intramuscolare. Dopo 40 minuti si osservarono modificazioni apprezzabili a carico della sensibilità, e dopo un’ora sia la sensibilità tattile che quella dolorifica mostrarono i segni di un recupero significativo (vedi Fig. 10). La sensibilità recuperata venne mantenuta nel tempo.
L’azione dei farmaci sul meccanismo chimico della trasmissione sinaptica può dunque condurre ad un ripristino apprezzabile e talvolta permanente della funzione, a patto che le strutture nervose corrispondenti si trovino solamente in una condizione di inibizione e non siano andate completamente distrutte. Nei casi in cui determinate funzioni si siano dimostrate sensibili al trattamento con prostigmina, tuttavia, non abbiamo mai osservato alcun effetto simile sui disturbi afasici, aprassici e agnosici.
Abbiamo già detto in precedenza che l’iniezione di prostigmina si dimostra inefficace nei casi di paralisi o di disturbi sensitivi isterici (di origine psichica), nel sordomutismo isterico oppure nel mutismo isterico post-traumatico. Questo fatto indica che sono altri i meccanismi responsabili di queste situazioni.
La perdita di funzione può dunque essere reversibile o irreversibile, ma in entrambi i casi inizialmente i fenomeni potrebbero manifestarsi in maniera apparentemente identica. Nei disturbi reversibili il tessuto nervoso non è distrutto ma versa in una condizione di inibizione che deriva dalle anomalie a carico della trasmissione sinaptica. Queste anomalie possono essere influenzate da farmaci appropriati, una procedura che costituisce il nostro primo metodo per ripristinare una funzione agendo sulla deinibizione. Riteniamo che queste considerazioni possano essere applicate praticamente a tutti i casi di lesione cerebrale.
4. Il ripristino delle funzioni inibite per mezzo di una modificazione dell’orientamento mentale
L’inibizione della funzione cerebrale che si sviluppa dopo un trauma non sempre possiede una caratteristica talmente elementare da potere essere estinta utilizzando i farmaci, ed in alcuni casi essa deriva dal consolidamento del disturbo originale. Questo tipo di inibizione viene superato con metodi alquanto differenti, il più importante dei quali è costituito da un radicale mutamento dell’orientamento mentale.
L’inibizione della funzione derivante dall’atteggiamento di auto-conservazione del paziente è già stata descritta, e Leont’ev e Zaporozhets (1945) l’hanno osservata nelle lesioni periferiche. Proviamo a pensare per un momento a quale forma possa assumere questa inibizione nelle lesioni centrali. Tra gli esempi più interessanti di inibizione stabile troviamo le paralisi ed i disturbi sensitivi post-traumatici (“isterici”) e, in particolare, il sordomutismo post-traumatico, argomento di molti lavori recenti.
La commozione cerebrale si verifica solitamente in circostanze di considerevole tensione emotiva. Di solito il paziente ferito da un proiettile o da una scheggia non ricorda nulla di ciò che è accaduto realmente, ma per il paziente con reazioni mentali post-commotive il momento del ferimento si associa ad una grande tensione emotiva. La ripugnante violenza dell’esplosione e lo stordimento vengono vissuti sullo sfondo di un retroterra di gravi reazioni emotive. Di conseguenza, l’effetto fisico immediato della commozione cerebrale potrebbe fare insorgere più tardivamente una reazione psicogena, che ritarda considerevolmente il ripristino della funzione. In questi casi di solito l’inibizione colpisce sistemi funzionali interi come l’udito ed il linguaggio, i quali entrano in uno stato di inattività prolungata. Questo è il quadro che si osserva nel sordomutismo post-commotivo e nelle paralisi o nei disturbi sensitivi di origine psichica.
È possibile incentivare attivamente il ripristino in casi come questi, eliminando i fattori che consolidano il disturbo e stimolando la riattivazione delle funzioni inibite?
I tentativi di deinibire queste funzioni temporaneamente inattivate utilizzando iniezioni di prostigmina si rivelarono inefficaci. Questo dimostra che i meccanismi che escludono una particolare funzione dalla coscienza sono piuttosto differenti da quelli descritti in precedenza, e che questo tipo di inibizione non si fonda unicamente sul disturbo a carico del meccanismo chimico di trasmissione, ma anche su processi fino ad ora sconosciuti di natura differente. La vera natura di questi processi diventa più chiara se esaminiamo i metodi che permettono di modificare questa condizione patologica e di deinibire la funzione inattivata.
Durante la Seconda Guerra Mondiale numerosi neurologi e psichiatri dimostrarono che la sordità post-commotiva (o il sordomutismo) può essere curata con la stessa velocità con cui si è sviluppata e, inoltre, che è possibile fare questo nelle prime fasi o anche nei casi più datati. I diversi autori utilizzarono metodi differenti di psicoterapia per modificare l’orientamento mentale del paziente e riattivare la funzione inibita. Uno di tali metodi, che abbiamo potuto esaminare, fu quello sviluppato ed utilizzato da Perel’man nel trattamento dei pazienti affetti da sordomutismo post-commotivo (più di 200 casi) presso la Divisione di Riabilitazione della Clinica per le Malattie Nervose, Istituto di Tutta l’Unione di Medicina Sperimentale. Attraverso l’utilizzo di determinate procedure la funzione uditiva residua, di cui il paziente era inconsapevole, veniva inizialmente incorporata entro un sistema di attività involontaria, e successivamente portata al livello di attività conscia. Faremo solo un breve cenno sulla procedura che viene descritta in maniera completa altrove (L. B. Perel’man “Il sordomutismo reattivo post-commotivo, la sua diagnosi ed il suo trattamento“, 1943).
Ad un paziente che, a prima vista, sembra essere affetto da sordità totale, viene chiesto di rispondere ad una serie di domande che gli vengono poste in forma scritta ma ripetute verbalmente. Naturalmente, l’attenzione del paziente si concentra sulla domanda scritta ed egli è apparentemente inconsapevole della domanda verbale. Le domande vengono scritte in modo da diventare progressivamente meno leggibili fino a quando alla fine sono completamente indecifrabili: esse vengono accompagnate ogni volta, tuttavia, da una domanda verbale enunciata in modo chiaro. Il risultato di questa presentazione combinata di domande verbali e scritte, è che il paziente continua a reagire alla domanda verbale senza poterla udire in apparenza, anche se, in realtà, semplicemente non è conscio di sentirla; egli fornisce le risposte corrette anche a quelle domande scritte in modo tale da risultare completamente illeggibili. Questo fenomeno (la Fig. 11 mostra un esempio di registrazione) dimostra che lo stimolo uditivo veniva ricevuto ma non oltrepassava la soglia della coscienza. Nel secondo stadio del trattamento questi risultati vengono presentati al paziente, spiegandogli che egli è ancora in grado oggettivamente di sentire, e che deve solamente innalzare tutto questo fino ad un livello cosciente. In questo periodo vengono effettuati ulteriori tentativi per integrare l’udito con l’attività conscia e per trasferirlo gradualmente dalla periferia verso la sfera conscia, e per facilitare un tale trasferimento, vengono combinati insieme a diverse misure di suggestione. Con questo sistema la capacità di udire, e fino a un certo punto anche quella di parlare, può essere ristabilita nella grande maggioranza dei pazienti entro un periodo che varia dai 2 giorni alle 2 settimane. I risultati di questa modalità di trattamento vengono illustrati nella Fig. 12, che mostra come i disturbi prolungati dell’udito e del linguaggio nel sordomutismo post-commotivo possano essere superati in tempi relativamente brevi attraverso l’utilizzo della psicoterapia reintegrativa.
Si conosce poco sui meccanismi psicologici della ricomparsa della funzione in casi come questi; è naturale che essi debbano essere completamente differenti da quelli descritti nella sezione precedente di questo libro. Taluni elementi della funzione acustica inibita, vengono evidentemente conservati nella maggior parte dei casi come questi; essi tuttavia, si trovano ad un livello subsensoriale, e non oltrepassano la soglia della consapevolezza del paziente. L’azione del “test combinato udire-parlare” è quella di rendere il paziente consapevole del fatto che la sua capacità uditiva residua esiste realmente. Questo solo fatto induce una modificazione notevole nell’orientamento mentale del paziente, e la suggestione successiva si limita a consolidare questo cambiamento facendo credere al paziente che il suo udito può ristabilirsi. Utilizzando le potenzialità acustiche residue, i pazienti giungono gradualmente alla quasi completa deinibizione della funzione uditiva.
Il ripristino del linguaggio in questi casi segue linee simili. In parte, questo ripristino comincia subito dopo il punto di svolta che avviene nel sistema uditivo e si accompagna alla riattivazione di quest’ultimo; in parte esso richiede procedure speciali per indicare al paziente che il suo apparato linguistico possiede ancora la sua innervazione. Il primo successo, anche se esiguo, in grado di determinare una parziale deinibizione dell’innervazione vocale, induce un’alterazione radicale dell’orientamento mentale del paziente (la patogenesi dei disturbi linguistici nel sordomutismo post-commotivo è stata oggetto di un numero molto ridotto di studi rispetto alla patogenesi dei disturbi uditivi. Il fatto che la grande maggioranza dei pazienti passi attraverso una fase di balbuzie tonica dopo l’uscita dalla propria condizione iniziale suggerisce che questo sintomo ha una natura complessa).
La nostra indagine sarebbe incompleta se non facessimo riferimento ad un altro importante gruppo di casi. Abbiamo già discusso circa le profonde differenze esistenti tra l’afasia traumatica dovuta alla distruzione di quella parte del cervello sottesa alla funzione del linguaggio ed il fenomeno del sordomutismo post-commotivo derivante dall’inibizione dei processi linguistici. Nella pratica, tuttavia, vediamo che in molti casi le due componenti sono interconnesse ed il quadro clinico è misto.
Quasi tutti i casi di afasia traumatica sono resi inevitabilmente complicati dalla presenza di componenti secondarie. In parte, queste si associano all’inibizione temporanea del sistema del linguaggio (vedi Capitolo 1, Sezione 2), ed in parte esse sono il risultato del consolidamento reattivo del disturbo.
Il consolidamento secondario del disturbo del linguaggio può essere riconosciuto facilmente dal momento che una lesione della “zona del linguaggio” compromette l’integrità funzionale dell’intero sistema. Esso di frequente predomina sull’afasia nel quadro clinico, e pertanto rende difficile la valutazione corretta della condizione. Di solito il decorso clinico è utile in questi casi. Quando il consolidamento secondario del disturbo è trascurabile rispetto alla componente afasica, nessuna forma di psicoterapia finalizzata alla rimozione dell’inibizione avrà successo. Se, al contrario, è il consolidamento secondario del disturbo a predominare, la psicoterapia può condurre molto velocemente alla deinibizione del linguaggio ed ad un rimedio insperato per la “pseudo-afasia”.
L’esempio descritto qui di seguito illustra il ripristino della funzione in casi di questo genere.
Il paziente Kon., un uomo di 43 anni di età, subì una ferita penetrante della porzione inferiore delle aree sensitiva e motoria dell’emisfero sinistro il giorno 17 Settembre 1944. Dopo il ferimento perse completamente conoscenza e sviluppò un’emiparesi destra ed un’afasia motoria completa. Dopo tre giorni fu eseguita un’operazione presso una vicina unità medica per rimuovere le schegge dalla sostanza cerebrale. La paresi particolarmente severa dell’arto superiore, rimase invariata. L’afasia motoria non mostrò segni di recupero.
Sette mesi dopo la lesione l’emiparesi destra, più marcata nell’arto superiore, era ancora presente e tutte le modalità sensitive erano disturbate. Era presente clono alla caviglia destra, ed i riflessi di questo lato erano esagerati. I movimenti dell’arto superiore sinistro erano conservati, anche se comparivano numerosi movimenti superflui e si osservavano molti impulsi parassiti durante il test motorio-ritmico. L’indagine dei movimenti residui dell’arto superiore destro metteva in evidenza una ipertonicità diffusa dei muscoli in tutti i segmenti. Se l’attenzione del paziente veniva distolta, i movimenti dell’arto superiore destro miglioravano in misura rilevante. Il linguaggio era completamente assente, il paziente non riusciva ad emettere alcun suono; era presente una marcata aprassia della lingua. Vennero osservati evidenti segnali di soppressione funzionale, sotto forma di afonia, di incremento generalizzato della tensione, e di spasmo dei muscoli vocali nel tentativo di produrrela fonazione. Le prove di scrittura rivelarono una marcata disgrafia del tipo motorio-afasico.
Il paziente fu trattato con la suggestione, e cominciò a parlare dopo due giorni. L’aumento della tensione e lo spasmo dei muscoli vocali scomparvero, l’aprassia dell’apparato articolatorio diminuì sensibilmente, e dopo due settimane di trattamento rimasero solo manifestazioni relativamente lievi di afasia motoria.
Queste osservazioni mostrano che l’inibizione della funzione provocata da ferite belliche può avere origine diversa e può verificarsi a livelli differenti. La natura del meccanismo sottostante questa inibizione deve essere studiata ulteriormente. Per il momento, tuttavia, è piuttosto evidente che le anomalie appena descritte sono molto diverse dai disturbi di funzione dovute a distruzione completa, e che il ripristino della funzione attraverso la deinibizione può verificarsi realmente. Nei casi di ampia distruzione della sostanza cerebrale, il ripristino di funzione attraverso la deinibizione può essere relativamente trascurabile. In altri casi (per esempio nei disturbi di funzione post-commotivi) la distruzione organica irreversibile è minima, e il ripristino di funzione attraverso i meccanismi di deinibizione comincia a rivestire un ruolo rilevante. In ogni caso, tuttavia, questa componente rappresenta un fattore importante nel trattamento delle lesioni cerebrali, e da queste osservazioni si può ricavare un’idea più precisa del concetto di Pavlov di inibizione protettiva. Speriamo che lo studio dei diversi metodi messi in atto per ristabilire le funzioni inibite in queste situazioni permetta in futuro di fare luce anche sui meccanismi intrinseci di questi stati e di avanzare una teoria fisiologica razionale che spieghi l’inibizione temporanea di funzione che si verifica dopo una lesione al cervello.
[...] 1) Luria A.R. – Il ripristino della funzione per effetto della deinibizione [...]