Aleksandr Romanovič Luria (1902 – 1977) è uno studioso molto conosciuto da chi si occupa di scienze neurologiche. Quasi tutte le sue opere sono state tradotte in italiano: tra le più famose, “Le funzioni corticali superiori nell’uomo” (1967) o “Come lavora il cervello (1973): curiosamente, la sua interessante monografia “Restoration of function after brain injury” (“Il ripristino della funzione in seguito a lesione cerebrale”) che vado qui a presentare non è forse tra quelle che hanno avuto maggiore diffusione e, purtroppo, non è stata tradotta nella nostra lingua.
Si tratta di una monografia che non è più in commercio da tempo: in origine venne pubblicata in russo nel 1948 dall’Accademia di Scienze Mediche dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Nel 1963 la Pergamon Press ne diede alle stampe una versione in lingua inglese senza modifiche rispetto all’edizione originale: non senza difficoltà, siamo riusciti a trovarne una copia.
Siamo soliti trovare recensioni di opere che rappresentano delle “novità” dal punto di vista editoriale, e potrebbe sorprendere il fatto che qui mi occupi di un libro che è stato scritto molte decadi fa. Tenterò, qui di seguito, di spiegare le ragioni che mi hanno spinto a riconsiderarne i contenuti, che ritengo molto interessanti dal punto di vista riabilitativo.
Questo libro espone i risultati delle numerose osservazioni condotte dall’Autore sui soldati feriti durante la Seconda Guerra Mondiale: da questi tragici eventi Luria trasse la possibilità di svolgere uno studio sistematico sugli effetti prodotti da lesioni in differenti aree del cervello, basandosi su un numero di casi eccezionalmente ampio e, pertanto, unico nel suo genere.
Da notare, Luria non si limita a condurre studi statistici o quantitativi, e non è interessato alla descrizione dei casi citati facendo riferimento all’evoluzione, più o meno spontanea, delle conseguenze delle lesioni sul comportamento dei malati. Luria non è affatto un “osservatore” ma, al contrario, il suo scopo dichiarato è quello di cercare il modo migliore per condizionare positivamente il recupero della funzione lesa alla luce della teoria dei sistemi funzionali e, in questo senso, possiamo senza alcun dubbio considerarlo come il primo dei riabilitatori scientifici.
Vorrei a questo punto sottolineare quello che considero il contributo fondamentale di questa opera, solo apparentemente “datata”. L’ingresso nelle neuroscienze degli strumenti tecnologici moderni ha indubbiamente ampliato le nostre conoscenze: l’esistenza dei fenomeni plastici e il loro ruolo in qualità di meccanismi che contribuiscono al miglioramento di una funzione alterata sono oggi ben noti. Questa messe di dati biologici è spesso il frutto di esperimenti condotti a livello cellulare, difficilmente generalizzabili: per essere messe alla prova della nostra esperienza di riabilitatori, queste conoscenze analitiche devono essere ricomprese, sistematizzate ed inscritte entro una concezione teorica generale di più ampio respiro. E proprio in questo senso “Restoration of function after brain injury” di Luria appare ancora oggi un’opera di fondamentale importanza e ancora straordinariamente moderna per gli operatori della Riabilitazione, quasi una sorta di “teoria generale del recupero” fondata sulla osservazione che, fisiologicamente, i processi cerebrali sono caratterizzati da una estrema dinamicità, che può dunque essere sfruttata per limitare le conseguenze di una lesione.
Il “problema” del recupero è antico, e nasce da una osservazione apparentemente paradossale: l’esperienza clinica suggerisce che, a dispetto del fatto che il numero dei neuroni di cui siamo dotati possa solamente diminuire, dopo una lesione cerebrale si assiste comunque quasi sempre ad una qualche forma di recupero di funzione. Comunque lo si “legga”, il recupero che fa seguito ad una lesione risente inevitabilmente della più ampia concezione adottata circa il funzionamento del cervello nel suo complesso e, di conseguenza, in questi processi non sarà ugualmente importante il ruolo attribuito al riabilitatore (Fig. 1).
Tra i processi implicati nel recupero post-lesionale, Luria prende dapprima in considerazione i meccanismi relativi alla deinibizione. Una cerebrolesione infatti, non produce solamente effetti “locali”, direttamente riconducibili all’area di tessuto nervoso lesionato, ma innesca anche processi di inibizione che interessano gruppi di neuroni altrimenti sani che da un punto di vista anatomico possono anche trovarsi ”a distanza” dall’area danneggiata, ma che ad essa sono collegati da un punto di vista funzionale. Ci si riferisce a questo “stato di shock” successivo alla lesione con il termine tecnico di “diaschisi” e, dal momento che ce ne occupiamo altrove anche in questo stesso sito non mi dilungo sull’argomento (http://www.laboratorioneurocognitivo.it/?p=33). Ai fini di ciò che qui ci interessa, almeno in parte, il recupero può essere attribuito alla deinibizione, cioè al ritorno alla funzionalità del tessuto nervoso precedentemente inibito (in diaschisi) ma altrimenti risparmiato dalla lesione: se tuttavia, questo fosse l’unico meccanismo coinvolto nella riparazione del danno, osserva Luria, le modificazioni positive alle quali si assiste dopo una lesione potrebbero essere interpretate come il graduale e progressivo ritorno alla normoeccitabilità di strutture neurali mai veramente interessate dal trauma. Questa è l’interpretazione del recupero dei cosiddetti localizzazionisti, che ritenevano che le funzioni fossero rappresentate in “centri” scarsamente modificabili e rigidamente circoscritti nel cervello: ovviamente, in questa prospettiva, lo spazio per un intervento di tipo pedagogico-riabilitativo sarebbe ridottissimo.
In questa monografia, Luria prende anche in considerazione le posizioni dei cosiddetti equipotenzialisti, cioè di quegli studiosi che avversavano la concezione rigidamente localizzatrice delle funzioni cerebrali. Per spiegare i fenomeni di recupero post-lesionale, gli equipotenzialisti hanno necessariamente postulato che non tutte le funzioni dovessero essere per sempre collegate a particolari aree del cervello e che queste, entro certi limiti, devono possedere caratteristiche simili. Proprio questo substrato biologico avrebbe permesso il trasferimento di determinate funzioni normalmente sostenute da una particolare regione del cervello a nuove aree attraverso un meccanismo di “sostituzione” che sarebbe stato in grado di riprodurre la funzione nella sua forma originaria, anche se sostenuta da un nuovo sistema equivalente di cellule cerebrali. La concezione equipotenzialista è stata influenzata da studi condotti su animali, in particolare vertebrati inferiori (ad esempio, uccelli), che hanno un cervello molto meno differenziato rispetto a quello dell’uomo. Per quanto ci riguarda, è tuttavia importante sottolineare che, al pari della concezione rigorosamente localizzatrice, anche il principio dell’omogeneità funzionale della corteccia cerebrale svaluterebbe il ruolo del Riabilitatore, dal momento che il ripristino della funzione sarebbe la logica espressione del fatto che essa è potenzialmente rappresentata più volte nel cervello. Per questo motivo, gli equipotenzialisti ritenevano che il fattore più condizionante il recupero non fosse la sede della lesione, ma piuttosto la quantità di tessuto danneggiato. Riassumiamo le concezioni dei localizzazionisti e quelle degli equipotenzialisti nella Fig. 2.
In tutti i casi, non si può ignorare il fatto che sono molti i compiti intellettuali che possono essere eseguiti anche dopo avere subito danni cerebrali considerevoli. Luria non nega che il ripristino di una funzione alterata avvenga anche attraverso meccanismi quali quelli descritti in precedenza, e cioè, i processi di deinibizione di strutture neuronali temporaneamente inattivate ma altrimenti intatte e la partecipazione di regioni cerebrali che in precedenza non erano direttamente implicate in quel determinato compito. Si pone tuttavia un problema. Esaminate in modo più attento, le funzioni che nell’uomo vengono annientate e successivamente ricompaiono dopo una lesione cerebrale, presentano differenze rispetto a quelle originarie (Fig. 3).
Questo fenomeno è espressione di quella che per Luria è la più importante modalità di ripristino della funzione, che consiste nella radicale “riorganizzazione” dell’attività che è andata distrutta, resa possibile da strutture neuronali differenti, non colpite dal trauma; in questo senso, quindi, il ripristino di una funzione non può essere interpretata unicamente né come l’espressione della deinibizione di strutture altrimenti integre né come il frutto di una generica ridondanza della sua rappresentazione cerebrale. Questa analisi dei processi di recupero, ricca di implicazioni riabilitative, è supportata da una radicale revisione del concetto classico di “funzione”, che fino a quel momento vedeva contrapporsi in uno sterile dibattito i sostenitori del localizzazionismo rigoroso e quelli dell’equipotenzialismo.
In Biologia è perfettamente corretto considerare la secrezione di un determinato ormone come la “funzione” di una particolare ghiandola (ad esempio la funzione del pancreas è sicuramente quella di secernere insulina); tuttavia, Luria sostiene che la situazione è ben diversa quando si prendono in considerazione funzioni complesse come la respirazione, la digestione, la locomozione, i processi psichici superiori, ecc. In questi casi, il processo nel suo insieme viene infatti sostenuto da un insieme di elementi che compongono un “sistema funzionale“. Luria sottolinea che la proprietà fondamentale dei sistemi funzionali è la “mobilità degli elementi che lo compongono“, caratteristica che, in presenza di un compito costante, permette il raggiungimento di un determinato scopo utile finale attraverso meccanismi differenti e variabili, che saranno tanto più numerosi quanto più una funzione è complessa (Fig. 4).
Le funzioni corticali superiori nell’uomo (linguaggio, memoria, percezione, azione, ecc.) secondo Luria non devono essere intese come le proprietà di singoli tessuti che costituiscono altrettanti “centri” come pretendevano i localizzazionisti, né come il prodotto dell’azione “di massa” del cervello, inteso come organo indifferenziato dagli equipotenzialisti. Al contrario, queste funzioni complesse devono essere considerate come il prodotto della dinamica interazione tra cellule anche distanti tra loro che lavorano in sincronia, ognuna delle quali fornisce un contributo specifico all’interno del sistema funzionale nel suo complesso; concepire le funzioni come il prodotto della interazione di parti che compongono una complessa architettura, spiega come la distruzione o la disfunzione di un singolo elemento possa portare al tracollo dell’intero sistema funzionale, e obbliga il riabilitatore a concepire il sintomo in maniera radicalmente differente. Il danno infatti assumerà caratteristiche peculiari a dipendenza non soltanto della localizzazione (danno localizzato), ma anche della alterazione delle relazioni tra le altre regioni che normalmente compongono il medesimo sistema funzionale e che sono rimaste integre (danno sistemico).
Le implicazioni riabilitative sono di ampia portata poiché, se la struttura di ogni comportamento complesso poggia su un intero sistema di organi ed aree corticali che lavorano in stretta cooperazione l’una con l’altra, nel caso in cui si verifichi una lesione che comporti la distruzione di una delle aree corticali che contribuiscono ad una determinata funzione, il sistema potrà essere riorganizzato in modo tale da garantire la continuazione dell’attività in questione (l’invarianza sia dello scopo che del risultato dell’azione) con mezzi differenti, cosa che implica la partecipazione di altre aree rimaste integre del cervello.
Luria chiama riorganizzazione intersistemica questa modalità di ripristino della funzione, per differenziarla dalla riorganizzazione intrasistemica sulla quale si fonda il recupero nel caso di lesioni parziali degli elementi inferiori che compongono il sistema funzionale. Per Luria, una terapia finalizzata al recupero che poggi su salde basi teoriche ha dunque innanzitutto il compito di prendere in considerazione la patogenesi del particolare disturbo al fine di escogitare metodi razionali per condizionare positivamente la riorganizzazione di questo sistema complesso. Questa forma di compensazione del difetto è relativamente limitata negli animali, mentre al contrario, offre ampie possibilità di recupero nell’uomo, i cui sistemi funzionali sono talmente complessi che determinati compiti possono essere in pratica eseguiti in modi completamente differenti: in questo senso, un componente danneggiato può teoricamente essere sostituito da un altro, che subentra al suo posto nel sistema riorganizzato (Fig. 5).
Questi processi dinamici non sono nuovi nell’uomo poiché, anche in assenza di lesioni, essi hanno luogo nel normale sviluppo ontogenetico, durante il quale, le forme più ricche e complesse dell’attività umana vengono sottoposte a radicali riorganizzazioni. Le funzioni corticali superiori infatti si differenziano notevolmente dal livello biologico del mondo animale, caratterizzato da forme di comportamento più dirette ed “istintive”: nell’uomo, infatti, l’impiego di mezzi ”extracorticali” formatisi storicamente e socialmente (ad esempio, strumenti, mezzi ausiliari esterni, linguaggio, educazione, ecc.) comporta drastici mutamenti derivanti dalla creazione di nodi e livelli di interrelazioni completamente nuovi all’interno del sistema nervoso centrale. Nel corso dello sviluppo del bambino, infatti, le funzioni complesse vanno incontro a massive riorganizzazioni in virtù delle quali, il medesimo compito (percepire, ricordare, ecc.) viene portato a termine con mezzi completamente differenti, modificandone radicalmente la struttura: per Luria, nell’uomo esisterebbero due linee di sviluppo, una “naturale” ed una “culturale”, ed il tratto più caratteristico dell’attività umana sarebbe dunque rappresentato dal fatto che i sistemi funzionali rigidi e biologicamente stereotipati degli animali vengono sostituiti da “sistemi psicologici” estremamente dinamici, complessi e plastici (Fig. 6).
Nel corso dello sviluppo storico ed ontogenetico, i sistemi funzionali dell’uomo vanno dunque incontro a massive riorganizzazioni nel corso delle quali, gli elementi che li compongono vengono inclusi in nuovi sistemi funzionali: questa intrinseca dinamicità indica per Luria una prospettiva riabilitativa che si basa su una ampia varietà di sostituzioni intersistemiche che possono essere impiegate per il ripristino di una funzione danneggiata in seguito a lesione localizzata nel cervello (Fig. 7).
Quali sono, secondo Luria, le condizioni “tecniche” necessarie per avviare positivamente questo processo di riorganizzazione intersistemica?
Una prima distinzione viene fatta da Luria sulla base delle riorganizzazioni intrasistemiche e di quelle intersistemiche. Se infatti le forme di riorganizzazione elementari ed intrasistemiche dei sistemi funzionali hanno luogo direttamente e senza la partecipazione conscia del malato, ben diversa è la situazione che si presenta al riabilitatore quando la lesione è più estesa, ed il recupero di funzione può avvenire solo attraverso un processo di riorganizzazione intersistemica che permetta di oltrepassare i limiti posti dall’utilizzo degli automatismi elementari conservati. In questi casi sarà necessaria una dettagliata analisi preliminare della struttura del disturbo: la natura psicologica del difetto da superare infatti, molto spesso non coincide con la sua manifestazione clinica esteriore, e ciò non permette di proporre un allenamento “diretto”, costantemente rivolto ad esercitare la funzione conservata nel malato poiché, in questo caso, il difetto di base soggiacente verrebbe completamente ignorato (Fig. 8).
Altro requisito indispensabile per procedere alla riorganizzazione funzionale intersistemica è che il processo patologico abbia distrutto gli stati “operazionali” ma non quelli “motivazionali” dell’attività, in modo tale che il malato stesso possa prendere parte attiva alla riorganizzazione delle proprie funzioni, riconosca il proprio difetto e compia sforzi speciali per superarlo. Nella maggior parte dei casi il ripristino di funzione ad opera della riorganizzazione intersistemica richiede un lungo periodo di allenamento conscio che comincia con il trasferimento dell’operazione difettosa ad un livello di consapevolezza mai completamente raggiunto in precedenza dal malato: solo a questo punto egli potrà cominciare ad introdurre nuovi procedimenti entro questo processo, rimanendo conscio, per tutto il tempo, del sistema di metodi utilizzato. L’ultima fase avrò inizio solo dopo un lungo periodo (molti mesi talvolta) di allenamento: infatti è necessario molto tempo perché un metodo di nuova formazione cominci davvero a diventare automatico, e la piena automatizzazione spesso non viene mai raggiunta (Fig. 9).
La seconda metà di questa monografia di Luria prende in considerazione una varietà di interventi riabilitativi basati sulla riorganizzazione intersistemica nel campo dei difetti che interessano i sistemi motori, gnosici, linguistici, ecc., con la descrizione dei pazienti, dei metodi di rieducazione adottati e dei risultati ottenuti.
A conclusione, mi preme sottolineare la straordinaria lucidità con cui il problema della formulazione di una teoria generale della dinamicità dei processi cerebrali viene applicata alla Riabilitazione. Con la sua teoria dei sistemi funzionali, Luria offre ancora oggi numerosi spunti al Riabilitatore, obbligandolo tuttavia ad una ricerca profonda che conduca ad una corretta interpretazione della manifestazione del sintomo, per potere formulare strategie di intervento adeguate, nella consapevolezza dei limiti biologici che talvolta si frappongono al suo intervento.
buon giorno andrea, ho letto l’articolo di luria che mi hai mandato e ti ringrazio , secondo me sono idee che assomigliano a quelle del dott.perfetti ,che poi sarebbero pure le tue e anch’io penso siano giuste e penso che se non avessi fatto quelli che ritenevo fossero un ” giochetto” ,ti ricordi? sicuramente ora non sarei quello che sono , se solo potessi camminare un po’ meglio !ad ogni modo non mi lamento più e devo solo ringraziare te, saluto te e tua moglie, vittorio.