L’esercizio è lo strumento operativo attraverso il quale ogni riabilitatore ritiene sia possibile influenzare positivamente i processi di recupero, ed è la logica conseguenza dell’adozione di una determinata teoria. L’Esercizio Terapeutico Conoscitivo (ETC) rappresenta la modalità di intervento proposta dalla Teoria Neurocognitiva della Riabilitazione (TNR).
L’esercizio viene definito “terapeutico” poiché esso si prefigge lo scopo di favorire modificazioni migliori di quelle che potrebbero emergere spontaneamente in seguito ad una determinata patologia. Per essere terapeutico, l’esercizio deve rappresentare una particolare esperienza che favorisce l’apprendimento (o il riapprendimento) di specifiche capacità che costituiscono i prerequisiti di un movimento più evoluto rispetto alle stereotipie motorie che emergono dopo la lesione.
L’Esercizio viene inoltre qualificato come “conoscitivo” poiché all’interno della TNR il movimento stesso viene considerato come un mezzo per interagire con il mondo esterno, e proprio questa interazione con l’ambiente conferisce ai nostri sistemi di moto una funzione intrinsecamente informativa. Di conseguenza, anche quando una lesione non colpisce primariamente i sistemi sensoriali, ogni riduzione o alterazione del movimento si accompagna ad un impoverimento della capacità di raccogliere determinate informazioni. L’esercizio è dunque una particolare situazione programmata all’interno della quale il malato ha la necessità di attivare determinate operazioni e il ripristino della capacità di organizzare sequenze motorie più raffinate emergerà dallo svolgimento di compiti connessi alla necessità di acquisire determinate informazioni.
L’ETC prevede dunque sempre che il malato interagisca con particolari oggetti chiamati “sussidi”, risolvendo specifici “problemi conoscitivi” che vengono scelti e “costruiti” dal Terapista in base all’elemento della patologia che si desidera superare. Lo svolgimento dell’esercizio prevede sempre la preliminare spiegazione del “compito” che sta per essere proposto al malato: in base alla richiesta effettuata, egli viene così messo nella condizione di dover operare delle opportune scelte, selezionando le informazioni che ritiene maggiormente significative per la soluzione del problema conoscitivo. Dal punto di vista neurofisiologico, questa fase può essere fatta corrispondere alla prima fase della costituzione di un “Atto Comportamentale” (Anochin, 1975).
Proporre infatti l’esercizio nei termini di soluzione di un problema motorio comporta l’attivazione preliminare di una serie di processi quali l’Attenzione, la Motivazione e la Memoria: è dall’intersezione di queste funzioni che emerge la Sintesi Afferente (SA) e la selezione delle informazioni considerate utili per portare a termine il compito, mentre quelle ritenute irrilevanti verranno trascurate. La conseguente Presa di Decisione (D) rappresenta una sorta di “bilancio” che emerge da questa serie di processi, e sfocia nella costituzione di due formazioni neurali temporanee: un Programma d’Azione ed un Accettore dell’Azione. Il primo può essere considerato una sorta di “strategia” motoria, mentre il secondo può essere considerato come una previsione dei risultati attesi o delle sensazioni previste quale conseguenza della nostra Azione (Fig. 1).
Proseguendo nell’analisi dei processi coinvolti nella soluzione di un problema motorio passiamo a considerare la seconda e conclusiva fase dell’Atto Comportamentale. I risultati di una Azione sono il prodotto di una serie di regolazioni che danno origine ad “Afferenze di ritorno” che vengono confrontate con quanto previsto (Accettore dell’Azione): in caso di concordanza tra quanto previsto e quanto effettivamente ottenuto lo scopo dell’Azione sarà stato raggiunto, ed il ciclo potrà considerarsi concluso (Fig. 2).
In caso di discordanza tra i risultati attesi e quelli effettivamente ottenuti si avrà una attivazione dell’Attenzione e il ciclo ricomincerà dando luogo alla costituzione di una nuova Sintesi Afferente e alla riformulazione di un Piano d’Azione e di un Accettore dell’Azione (Fig. 3).
Riprendiamo questi concetti connessi alla architettura neurofisiologica dell’Atto Comportamentale, in parte già espressi nell’articolo “L’Ipotesi Percettiva” che si trova nella sezione “Gli Strumenti della TNR”, per sottolineare una delle caratteristiche peculiari del movimento, che deve trovare opportuna rappresentazione anche nell’esercizio: ci riferiamo alla natura “sistemica” dell’Azione, intendendo con ciò che essa non può essere identificata con singole componenti del movimento da esercitare isolatamente. Da tempo, infatti, è noto che la struttura complessiva di una azione implica la presenza di un compito, la formulazione di un piano d’azione, un modello del futuro dei risultati attesi, la regolazione del movimento e la verifica dei risultati ottenuti: ciò significa che al movimento osservabile soggiace una serie di processi cerebrali che lavorano in modo combinato (Luria, 1967).
Nella TNR il recupero viene considerato come un processo di apprendimento che ha luogo in condizioni patologiche: come per altri tipi di apprendimento che hanno luogo in condizioni fisiologiche, solitamente ci si esercita risolvendo problemi. Nel caso di un disturbo motorio gli esercizi saranno dunque costituiti da particolari problemi da risolvere con il corpo che, sotto la guida del Terapista, inducono il malato ad effettuare quelle operazioni mentali che precedono il movimento che si desidera recuperare. Gli esercizi possono essere di primo, di secondo e di terzo grado: essi hanno una architettura generale complessiva che è simile a quella dell’Atto Comportamentale: i diversi esercizi si differenziano per il tipo di richiesta, per la modalità di impegno muscolare e per altre caratteristiche che dipendono dall’elemento della patologia che si intende superare.
Gli esercizi di primo grado.
Questi esercizi consistono in problemi conoscitivi che possono prevedere la raccolta e la selezione di informazioni tattili o cinestesiche con l’aiuto del Terapista, ovvero in assenza di contrazioni muscolari. Gli esercizi di primo grado non possono essere definiti passivi, secondo la classificazione tradizionale: la partecipazione del malato è infatti elevata, e si esprime a vari livelli nei termini organizzativi dell’Azione (Attenzione, Ipotesi Percettiva, confronto tra risultati attesi ed effettivamente ottenuti, ecc.) (Perfetti, 1986). Il significato di questi esercizi è quello di fare apprendere al malato la capacità di mantenere l’arto rilassato durante i riconoscimenti, e vengono proposti quando alcune condizioni patologiche come la Reazione Abnorme allo Stiramento (RAAS) ostacolano l’escursione articolare, specie per velocità angolari elevate. La Fig. 4 illustra due esercizi di primo grado. Nella Fig. 4 a sinistra, il malato esegue un esercizio di riconoscimento di spessori di altezza differente posti sotto il polpastrello del dito indice: il Terapista sposta il dito del malato, che deve mantenere rilassati i muscoli flessori del polso e delle dita, comunemente interessati da fenomeni patologici che ne ostacolano l’allungamento. Nella Fig. 4 a destra viene proposto un esercizio di riconoscimento di differenti posizioni in dorsiflessione del piede. anche in questo caso non vengono richiesti reclutamenti: il malato deve mantenere rilassato l’arto permettendo l’escursione articolare, frequentemente ostacolata dalla presenza di RAAS a carico dei muscoli posteriori della gamba.
Gli esercizi di secondo grado.
In questo caso vengono proposti compiti conoscitivi che prevedono l’aiuto da parte del Terapista unitamente a parziali reclutamenti muscolari da parte del malato. L’entità dell’aiuto sarà commisurato alla capacità che il malato ha acquisito di organizzare contrazioni muscolari senza per questo attivare sinergie patologiche poco raffinate. La risoluzione del problema conoscitivo prevede la corretta raccolta di informazioni tattili o cinestesiche, con il malato che “aiuta” il terapista ad eseguire l’escursione del movimento. Nella Fig. 5 a sinistra viene mostrato un esercizio di riconoscimento di differenti posizioni con il polso: il sussidio è costruito in maniera tale che il malato può contribuire al movimento, permettendo al Terapista di verificare l’eventuale comparsa di attività muscolare in distretti non direttamente coinvolti nella risoluzione del compito (Irradiazione Abnorme). A destra viene proposto un esercizio di riconoscimento di spugne dalla consistenza differente con abbassamento del tallone. Anche in questo caso la discesa del tallone verso la spugna può essere più o meno facilitata dal Terapista a seconda della capacità raggiunta dal malato di eseguire il movimento selezionando reclutamenti muscolari corretti.
Gli esercizi di terzo grado.
Sono esercizi che prevedono la risoluzione di Ipotesi Percettive dalla complessità commisurata alle acquisizioni raggiunte dal malato, e prevedono l’esecuzione di reclutamenti muscolari evitando l’ativazione di Schemi Elementari di Movimento. La risoluzione del problema conoscitivo può comportare la raccolta di informazioni tattili, cinestesiche, ponderali o di attrito. Negli esercizi di terzo grado il malato esegue da solo il movimento, e sono finalizzati al recupero della capacità di organizzare reclutamenti adeguati non solo dal punto di vista quantitativo, ma qualitativo. Nella Fig. 6 a sinistra viene mostrato un esercizio in cui il malato deve riconoscere uno tra due pesi differenti con il secondo ed il terzo dito. A destra viene mostrato un esercizio di riconoscimento tra stoffe differenti con la pianta del piede.
Alcune considerazioni conclusive si rendono necessarie. Innanzitutto, la schematizzazione degli esercizi in primo, secondo e terzo grado è alquanto sommaria e, nella realtà riabilitativa, tali differenti modalità spesso “sfociano” l’una nell’altra senza necessariamente rispettare una rigida differenziazione. Preme sottolineare, inoltre, che gli esercizi di primo grado sono stati inizialmente introdotti per il superamento della RAAS e pur non prevedendo la richiesta al malato di contrazioni muscolari “volontarie”, spesso in realtà le evocano: ciò non stupisce se si considera la funzione motoria nei termini più complessivi (o sistemici) di “Atto Comportamentale” e soprattutto se si guarda all’esercizio come a ciò che favorisce la riorganizzazione di un sistema leso a partire dalla quale possono emergere modalità alternative di espressione del movimento, migliori di quelle spontanee. L’importanza degli esercizi di primo grado, o meglio, la non necessità di ricorrere in maniera diretta alla richiesta di contrazioni muscolari per evocare il movimento pare trovare ulteriore corroborazione anche dalle ricerche sull’Immagine Motoria (http://www.laboratorioneurocognitivo.it/?p=764): esse infatti hanno messo in evidenza l’influenza dei processi mentali di preparazione e di programmazione motoria sui muscoli effettori.
Bibliografia
Anochin PK. Biologia e neurofisiologia del riflesso condizionato. Roma: Bulzoni Ed.; 1975;
Luria AR. Le funzioni corticali superiori nell’uomo. Firenze: Giunti-Barbera Ed.; 1967;
Perfetti C. Condotte terapeutiche per la rieducazione motoria dell’emiplegico. Milano: Ghedini Ed.; 1986
Che bello sarebbe se queste cose venissero insegnate gia’ nelle universita’ quanto tempo si risparmierebbe e quanto bene potremo fare ai nostri pazienti!!!tuttavia , visto che cio’ non è potreste almeno consigliarmi qualche buon testo dal quale poter attingere qualche esercizio da poter poi usare coi miei pazienti? Grazie e ciao Renata
Articolo molto interessante per me. Ho vissuto e sto vivendo tutto questo col mio bambino. Grazie all’etc Pietro sta risolvendo i suoi problemi di ipertono. Quando sta in piedi ( appoggiato) il suo ipertono persiste, le ginocchia sono leggermente piegate, ma grazie agli esercizi con le spugne ( da coricato) lo vedo migliorato.
Ho letto con attenzione l’articolo e vorrei leggerne altri perché decisamente utili.
Marialuisa mamma Pietro
Grazie signora Marialuisa, anche noi facciamo il tifo per Pietro!
Sono molto interessata all’argomento .sono stata colpita da un ictus l’11 febbraio 2014 nella regione dell’arteria cerebrale media. ho47 anni.gli esiti sono stati emiplegia-emianestesia eminattenzione all’emisoma sinistro.sto recuperando bene a livello motorio mentre mi è rimasto un deficit importante per quanto riguarda la sensibilità tattile cinestesica nocicettiva: non sento quasi nulla -dolore-calore-freddo-non riconosco la posizione degli arti…mano piede ..dita.l’e.t.c. aiuta anche la sensibilità o solo il movimento?
Buona sera Roberta, mi scuso se le rispondo solo adesso ma non avevo visto prima il suo messaggio. Uno dei principi cardine dell’etc è proprio quello che lei descrive: non è logico dividere la sensibilità dal movimento. Da quello che ho capito lei lamenta un disturbo all’emisoma sinistro e dunque ha subito una lesione all’emisfero destro. Per quello che posso dirle così, a distanza, la sintomatologia che è comparsa su di lei dopo la lesione potrebbe essere dovuta sia ad un disturbo primario della sensibilità, sia ad un problema più generale di attenzione riferito al corpo. Una strategia che solitamente impieghiamo in Riabilitazione Neurocognitiva è l’Immagine Motoria, se guarda nel nostro sito c’è una descrizione nel capitolo degli “strumenti”.
la saluto cordialmente e se avesse altre curiosità non esiti a contattarci
Andrea Ferri